Cima Venezia - L'ultimo giro di giostra

Sin dal primo anno che ho cominciato a praticare lo scialpinismo ho sempre allungato la stagione il più possibile, cercando le ultime lingue di neve quando ormai molti amici erano dediti alle camminate, alla bici, all'arrampicata o più semplicemente a bere birre al lago …
Quest'anno il trasloco, il lavoro, casini vari, da metà aprile solo due gite all'attivo, l'ultima, Punta Penia, è datata 1° maggio … cacchio, non ho mai messo via i legni così presto!
Sarà stato pure l'inverno più caldo degli ultimi non so quanti anni, ormai sembra estate, ma di non fare un'ultima gita non se ne parla neanche … telefono, email, sms "allora vieni a fare l'ultima?" "no … no … no …" giro e rigiro i nomi sulle rubriche di telefonino ed email ma la risposta alla fine è sempre quello stramaledetto no!
Cristo, possibile che nessuno abbia voglia di fare un'ultima sciata? Aspetta un attimo … Paolo … quello che scrive su Over the Top … PaoloTheTop!!! L'ho conosciuto l'autunno scorso in una bella scarpinata in Brenta, ho appena letto che dopo il gitone all'Orecchia di Lepre che non è ancora sazio … ci provo!!!
Grande Paolo, raccoglie al volo l'invito, si può fare per sabato mattina … dove? Oberettes? No l'ho già fatte, qualche canale sul Sella … troppo ripido … Punta Martello? Si dai si può fare, però …
Alla fine troviamo la convergenza: Cima Venezia, la prima, la più alta delle tre, nessuno dei due l'ha mai fatta, relazioni in giro non se ne trovano, ma la cartina parla chiaro: si sale lungo il sentiero 37, poi su per la Vedretta Alta fino al passo tra la nostra cima e la Marmotta e poi su per cresta fino in vetta. Perfetto!
Come sarà la cresta? Primo grado assicura Paolo, l'ha letto su internet.
Ok, è fatta si parte! A che ora? Nota dolente: "ore 4.00 passo a prenderti!".
Sveglia ore 2.30, faccio colazione come se uscissi a fare una gita sul Lagorai e mi metto in macchina alle 3.00, mentre scendo da S. Caterina guardo il Lago di Caldonazzo che sembra una macchia di olio nero con le troppe luci della strada che lo tingono qua e la di arancione.
Cerco di tenermi sveglio fino a Laives, dove arrivo puntuale all'appuntamento con Paolo che è già li ad aspettarmi.
Alle 5.30 gli sci sono già sullo zaino, che a sua volta e sulla nostra schiena e noi siamo in cammino lungo il sentiero 37 in un ambiente già verdissimo e pieno di fiori tipico della primavera, ma sullo sfondo le cime sono ancora bianchissime e mentre albeggia si capisce che sarà un giornata stupenda.
La levataccia, lo zaino pesante, ma poi mi guardo intorno, tutto ciò che vedo è meraviglioso, davanti a me il profilo di Paolo che spalleggia gli sci si staglia su uno sfondo di cielo blu cobalto e penso che in quel momento non vorrei essere in nessun altro posto al mondo che non sia quello!
Tra due chiacchiere e tanti preziosi silenzi saliamo in ottima compagnia, infatti sulla destra ci accompagnano le signorine Beltovo e Madriccio, di fronte c'è quel gran signor del Cevedale col suo amico crucco, il sig. Zuffal, e poco dopo si unisce alla compagnia anche sua maestà Gran Zebrù!
Eh si, non c'è che dire, proprio una gran bella compagnia!
Dopo un'ora e mezza di cammino, risalito un faticoso balzo roccioso, a quota 2550 troviamo una bella lingua di neve che ci permette di mettere finalmente gli sci ai piedi.
La neve è stupenda da subito, il rigelo notturno è stato ottimo, un vento sostenuto soffia freddo alle nostre spalle.
Dopo aver perso qualche decina di metri per recuperare la neve improvvisamente sparita dal nostro itinerario finalmente entriamo nel ghiacciaio, la neve è sempre meglio visto che qualche centimetro caduto i giorni prima rende il manto soffice e il vento che la sta accarezzando la rende ancor più vellutata.
Paolo ha portato gli sci pesanti ma in compenso ha un abbigliamento un po' balneare per la quota, braghe da trekking leggeri alla pescatora e già in salita sopra il micropile infila un kee-way anni 70 che è l'indumento più pesante che ha portato con sé …
Procediamo senza problemi fino al passo senza nome e qui lasciamo gli sci in mezzo ad un ventaccio che ormai ha le sembianze di una piccola bufera di neve.
Mi sento in forma e parto per la facile e divertente cresta che porta ad una vicina anticima, ma il divertimento finisce presto, visto che il resto della cresta è assolutamente impraticabile. Non c'è problema, caliamo sul nevaio e cerchiamo un itinerario per saltare la parte più ostica. La pendenza si fa a dir poco sostenuta ma la neve sotto la piccozza e gli scarponi tiene benissimo, riguadagno la cresta, ma anche qui di proseguire non se ne parla neanche … alla faccia delle facili roccette di 1° grado!!!
Ricaliamo e cerchiamo di aggirare ulteriormente la cresta, ma la mia sicurezza si ferma davanti a un passaggio che giudico troppo difficoltoso. Guardo sotto e vedo il classico scenario che non consente errori.
Mi blocco e mi consulto con Paolo, che nel frattempo ha messo i ramponi e riparte alla volta dello stesso passaggio e in qualche modo lo supera.
Mi dico "se è passato lui perché non dovrei passare io?". La stessa considerazione fatta altre volte … la stessa identica cazzata di altre volte!!!
Mi arrampico con la stessa agilità di gatto Silvestro su quel maledetto risalto roccioso e per qualche interminabile secondo sogno solo di riavere gli scarponi ben fissi nella neve! La mia sicurezza di soli pochi istanti prima è crollata sotto una scarica di adrenalina … cazzo, va bene giocare all'alpinista, ma tengo famiglia!!!
Comunico a Paolo che per me si può pure rinunciare alla cima, e poi con quel nome, un nome di una città, e di mare per di più, che nome assurdo per una montagna …. cazzo, odio non arrivare in cima!!!
Paolo comincia a scendere per tornare indietro senza rifare il passaggio malefico, poi si ferma e mi dice "secondo me da qui arriviamo su".
Evvai, forse la cima non è persa!
Salgo sulle tracce lasciate da Paolo e mi pare così facile e bello come salire sulla scalinata di Trinità dei Monti, guardo il mio compagno di gita camminare lungo l'ormai facile cresta raggiungere l'agoniata vetta. Lo immortalo con una foto, felice e soddisfatto, con la piccozza levata al cielo in segno di vittoria!
Sono le 10, ci abbiamo messo la bellezza di un'ora per fare gli 80 metri dal passo alla cima, ma adesso soddisfatti ci guardiamo intorno: da qui il mondo è proprio meraviglioso!
Da una parte le grandi cime, il GZ e l'Ortles, dall'altra la distesa di neve del Careser.
Il paradiso lo immagino così: il bianco delle cime innevate e poi solo tanto cielo azzurro!
Paolo propone di scendere dal versante sud per evitare di ripetere la salita al passo, accetto la proposta senza indugi. Qui il sole batte forte, di vento neanche un alito, la neve è marcia e fa un caldo boia. Scendiamo per il ripido crinale fino a trovare il taglio giusto che ci riporta sotto il passo.
Il prezzo da pagare per il rientro tranquillo sono un centinaio di metri di risalita , Paolo è così avanti che non ho nemmeno la forza di chiedergli se vuole il cambio e così si traccia tutto il pendio nella neve ormai collassata.
Sul passo si cambia musica, sembra che ci sia un cannone che ci spara neve tipo polistirolo addosso, fa un freddo cane e le operazioni per calzare finalmente gli sci sono rese molto fastidiose dal vento.
Finalmente si scende, le gambe me le sono giocate sull'ultima salita, e le prime curve non riesco proprio a godermele.
Calati dall'ultimo strappo prima del passo, davanti a noi si apre un lenzuolo bianco di seta che chiede solo di essere ricamato dalle nostre solette. A quella vista anche le gambe riprendono forza e con immenso piacere cominciamo a tessere curve su quel ben di Dio!
700 metri di sciata da incorniciare su un manto vergine e soffice che sta lì tutto solo per noi … cosa chiedere di più all'ultima scialpinistica dell'anno?!?!
Sciamo fino all'ultima lingua di neve, poi di nuovo sci in spalla e il faticoso rientro alla macchina: il "giusto" prezzo da pagare per un gitone da raccontare.
L'ultimo di quest'anno, l'ultimo giro di giostra.
E' così finita un'altra stagione, bella, come sempre. In attesa della prossima. Come sempre.


sulla vetta di Cima Venezia