solitudine e (im)perfezione

Faccio più di un tentativo per trovare compagnia per una gita veloce in un martedì mattina qualsiasi di febbraio, ma ricevo solo risposte negative. Sarà forse segno che è meglio rinunciare?
Preferisco guardare l'altra faccia della medaglia: vuol dire che è venuta l'ora di farmi una bella gita da solo!
Tutte le ultime escursioni sono state all'insegna di una ricerca accurata di qualche bel lenzuolo di neve polverosa su cui tracciare le proprie curve e poi voltarsi a vedere come era venuto il ricamo; questa volta però ho voglia di sole: questa volta decido per cercare una bella discesa su firn.
La "polvere" o la prendi al volo il giorno dopo, o è una questione di ricerca, di studio, di logica.
E' un bel versante al rovescio … è una valle incassata … qua il vento non ha lavorato … il bosco è rado … si ok, è qui! Facciamo un immaginario cerchio rosso sulla cartina nella zona prescelta e via!
Il firn no, il firn è un'intuizione, è colpo d'occhio, è velocità d'azione.
Se parti mezz'ora prima scii su carta vetrata, se parti mezz'ora dopo sprofondi in un ignobile pappone.
Il firn è un compromesso, da cima a fondo è impossibile, meglio adesso o dopo, meglio in alto o in basso …
Il firn è la neve dei pionieri. E' un attimo. E' una ricerca della perfezione!
E con questi futili pensieri nella testa parto alle 6.30 da casa e inforco la Valsugana in "senso contrario" rispetto al solito, mentre guido mi colpiscono i fari della macchine: sembrano tanti gatti dagli occhi tristi. Tutti in fila, tutti insieme, ma soli.
Io per adesso invece, vado in senso contrario, i miei 'fari-occhi' hanno fanno un'altra luce … ma tra poche sarò di nuovo uno di loro. Pensieri strani. Un po' di tristezza.
Al Le Pozze la neve scarseggia più del previsto, comincio a pensare che la voglia di sole la pagherò cara, ma non mi perdo d'animo e vado in macchina fino al Rincher.
Il sole mi sorprende alle spalle, il Fravort si tinge di rosa, la mia ombra si perde all'orizzonte. E' solo un attimo, ma ogni volta che vedo l'alba è un'emozione.
Con queste ottime premesse metto gli sci ai piedi e parto.
Pochi metri e faccio una previsione l'"ora x" è tra le 10.30 e le 11.00, non prima, ma assolutamente non dopo!
Una gita da solo ha sicuramente dei pro: non tocca aspettare il compagno che va piano o morire dietro a quello che va forte, quando decidi una cosa nessuno la mette in discussione, puoi scegliere la salita e la discesa migliore, quanto fermarsi in cima e quando scendere …
Una gita da solo ha sicuramente dei contro: nessuno con cui scambiare due chiacchiere e condividere un'emozione, e poi tanti pensieri, anche un po' di sana malinconia … ma sarò solo perché sto sulle palle a tutti o sono l'unico che può permettersi di cazzeggiare un martedì mattina?
Mah … mi sparo un po' di musica dei Nazca nelle orecchie e parto.
Mai ascoltata musica in montagna, una sensazione nuova. Non mi dispiace.
Un po' per pigrizia - inforco la prima traccia che trovo - un po' per voglia di sole e senza accorgermi mi ritrovo sulla destra orografica della Val Portela. Non era nei programmi ma poco male, anzi meglio. Guardo sopra di me la cresta che collega il Fravort al Gronlait. Un'idea.
Partendo dal Rincher mi ritrovo circa 180 metri di dislivello in meno da fare per arrivare sull'Hoabonti, rischio di arrivare troppo presto, aspettare a lungo non mi piace, meglio trovare un diversivo!
Faccio due conti veloci e penso che potrei infilarci una puntata sul Gronlait, per arrivare giusto all'appuntamento con il firn … che ossessione la perfezione!
Detto fatto, comincio a disegnare una zeta dietro l'altra in direzione della cresta senza capire bene in che punto possa essere la cima. Quando finalmente ci arrivo mi volto e vedo all'orizzonte stagliarsi la croce del Fravort da una parte e quella del Gronlait dall'altra. Pensavo di essere più vicino.
Come arrivo alla croce del Gronlait mi viene da baciarla. Un forte e buon odore di legno mi ripaga del gesto.
Scendo in direzione della Portela, fra neve non ancora ben trasformata e zolle d'erba. Grossa imperfezione! Ma non è questa la mia discesa …
Al passo guardo in alto in direzione della dorsale che porta alla cresta dell'Hoabonti, non ho voglia di ripellare … allora all'unanimità (che vantaggio esser soli!) decido di mettermi gli sci sullo zaino ed infilare la linea di massima pendenza.
Ogni volta che lo scarpone sprofonda nella neve cedevole mi pento della scelta, ma una volta in cresta penso che alla fine sia stata la soluzione migliore.
Arrivo sull'Hoabonti alle 10.30, mi godo gli ultimi panorami su Brenta, Lagorai e le PM10 nella conca della Valsugana, poi guardo giù la Val d'Ilba. Sarà suo il verdetto finale. Sono le 10.45, l'orario perfetto, metto "l'Ultimo dei Moicani" a palla sul lettore Mp3 e cerco con gli occhi la "mia discesa".
La trovo in un canale che scende diretto un pò dopo la cima, assaggio la neve con le lamine e vedo dei piccoli cristalli che si staccano morbidi e rotolano giù per il pendio liscio e invitante.
Si, ci siamo, è l'ora. Adesso! Giù!
Le solette scivolano leggere sulla neve ammorbidita dal sole, faccio curvoni ampi per godermi la sciata il più possibile … che perfezione!
Saranno 300 metri in tutto. Ma non conta.
Poi è solo tornare alla macchina, una sciata di ricerca fra neve marcia e qualche zolla d'erba che comincia ad affiorare. Ma non conta.
Quando riprendo la Valsugana nel "verso giusto" torna qualche pensiero.
Solitudine e (im)perfezione.

l'Hoabonti visto dal Gronlait